22.2.09

L'ultimo "fatemi capire"


_Il ricordo di Candido Cannavò è un pensiero parallelo, legato indissolubilmente allo sport, quello vero, genuino, quasi figlio dell'essenza più alta dettata da Olimpia. Lo ricordo in molte sfaccettature, una su tutte, sala stampa del Giro 1998.
Qualcuno parla di un Giro d'Italia con meno tappe, Candido ignorò il perbenismo dovuto della diretta e andò su tutte le furie. La tradizione fatta storia. Minata.
Qualcuno voleva intaccarla in nome di chissà quale interesse.
Nel leggere i suoi editoriali ho assaporato lo sport fatto ideale. In qualche modo mi sono nutrito delle sue parole. Sono sportivamente cresciuto con loro e grazie a loro. Ogni successo azzurro, della mia squadra del cuore, meno calcio (in un momento nel quale il calcio era anche più potente di adesso) a prevalere sulle altre discipline ricordo anche di una Gazzetta dello Sport più equilibrata. Il mio unico auspicio: che "Zomegnan" e lo staff del Giro d'Italia del centenario lavorino per regalare a Candido uno dei Giri più puliti degli ultimi anni. Lo onorerebbero senza parole ma con un devastante omaggio che, sfido, lo renderebbe più entusiasta di ogni vittoria messa in cronaca con le parole e dettata dal cuore.
_Era fine giugno del 2000, l'indomani di Italia-Olanda, epica semifinale agli Europei, vinta ai rigori dall'Italia di Zoff. Al telefono Gianni Agnelli con tutte le sue pungenti e svariate curiosità mattutine. Si parla anche della partita ancora calda sui giornali: "Il nostro portiere — dice l'Avvocato — non è andato bene, ha fatto dei pasticci, non è stato fortunato". "Ma come — replico io — il nostro portiere era Toldo e ha fatto miracoli". E lui: "Per nostro intendevo il portiere della Juventus, Van der Sar, poveretto".
Edwin Van der Sar, alto come un pivot del basket, dallo sguardo allampanato, alla Juve non aveva né fortuna, né buona stampa. Prima che diventasse «Ice Rabbit», coniglio di ghiaccio, l'Italia lo aveva battezzato Papero. Parava e si distraeva. Nelle chiacchiere da bar si sussurrava che non vedesse i tiri da lontano e di notte neanche quelli da vicino. La frase di Agnelli annunciava una separazione, civilmente, senza traumi. Si aprì per la Juve l'era di Buffon. A nove anni di distanza, uno può pensare: chissà in quale Jurassic Park quello strano tipo di Van der Sar si gode la sua pensione. E invece dai 29 ai 39 anni quella «pertica» olandese ha costruito la parte più sfavillante della sua carriera sino ai confini della leggenda. Adesso ce lo ritroviamo addirittura sul tetto d'Europa con un record di imbattibilità di 14 partite consecutive, titolare indiscusso del Manchester, la squadra più forte del mondo, oltre che «mostro sacro» della nazionale olandese dove ha messo insieme 130 presenze: un'eternità.
Siamo a pochi giorni dalla sfida tra Inter e Manchester. E io credo che l'evento, di per sé avvincente e crudele, possa essere annunciato non solo dai proclami di quegli ottimi imbanditori che sono Ferguson e Mourinho, dal confronto ruggente tra Rooney e Ibrahimovic, dal fascino di Cristiano Ronaldo o dai 44 anni di fame europea nerazzurra, ma anche da un omaggio alla storia silenziosa ed esemplare di questo Edwin Van der Sar che l'Italia liquidò quasi con irrisione ricordando di lui solo le incertezze e il famoso «cucchiaio» che gli fece Totti nella sfida ai rigori di Italia-Olanda 2000. Non c'è che dire: la vita ha fantasia e in certi casi sa vendicarsi con un sorriso.
Van der Sar ha 39 anni, ma l'età di un portiere non ha confini strettamente anagrafici. Il cosiddetto «vecchio» avanza anche in casa nostra. Proprio mentre lo spilungone olandese arrivava, minuto più minuto meno, sul tetto europeo dell'imbattibilità, Inzaghi, prossimo ai 36 anni, superava Raul in cima alla classifica dei cannonieri europei: 66 gol. Pippo è un «mostro». Se gli dedicheranno un fumetto, bisognerà partire dai gol che segnava nella culla.(Fonte: Gazzetta dello Sport & Luca Tittoni)

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