_Un team sportivo è un piccolo esercito. Con segreti, tecniche, strategie da proteggere. E dunque non è difficile immaginare che i rivali possano cercare di impadronirsi di informazioni vitali. Con uno spionaggio aggressivo e, a volte, pasticcione. Con azioni che mettono insieme metodi sofisticati e James Bond fai-da-te. È la storia recente a raccontarlo. Con il clamoroso attacco spionistico contro la Ferrari, seguito adesso dalla maldestra incursione che quelli di Oracle avrebbero organizzato ai danni di Alinghi. Una guerra di ombre nell’affascinante mondo della vela, dove le innovazioni in uno scafo possono determinare una vittoria prestigiosa. Carpirne anche solo una può aiutare a studiare la contromossa. Ciò che colpisce, però, è la sproporzione. Da un lato c’è l’uomo al quale Oracle ha affidato la «missione impossibile»: un dipendente e non uno 007 con in tasca chissà quali diavolerie elettroniche. Dall’altro una barca che racchiude il meglio dell’high-tech e dell’inventiva. Evidentemente avevano fretta di scoprire qualcosa e si sono dovuti arrangiare. Altri saranno stati più furbi e scaltri, non lasciando tracce delle intrusioni. Ma, dettagli a parte, il caso è una conferma di quanto avviene nello spionaggio tradizionale. Il campo di battaglia dove si muovono gli agenti segreti — privati o di Stato — è quello sterminato della tecnologia. E quando questa entra nello sport si trasforma automaticamente in un bersaglio appetibile. Un’attività non ortodossa su cui investire perché tutto ciò che può dare un vantaggio ad una squadra diventa oggetto di interesse. Un tipo di allenamento, i miracoli di un laboratorio che rimette in piedi i giocatori, il motore, l’aerodinamica, la velatura, il telaio fanno la differenza. Conta l’atleta, ma conta anche come si prepara o il mezzo che usa nella competizione. E non potendo clonare il campione, gli avversari si accontentano di spiarlo. (Fonte: Corriere della Sera)
15.6.09
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