skip to main |
skip to sidebar
Febbraio 2006: Vancouver spiava Torino!
Da oggi, Passion Still Lives Here Vi accompagnerà nell'avventura olimpica. Certo, non ci saranno da rivivere le stese emozioni provata a Torino 2006, in quanto - come spesso ci diciamo tra volontari- esserci è un'altra cosa, ma cercheremo di aggiornarvi quanto più possibile con le news dal Villaggio ed i risultati di gara, compatibilmente con il nostro lavoro! Per chi volesse aiutarci, la nostra mail è passionstillliveshere(at)gmail.com
---
2 luglio 2003: il CIO ( Comitato Olimpico Internazionale) si ritrova a Praga e designa la città olimpica del 2010. Vancouver sbaraglia la concorrenza di Salisburgo e PyeongChang. Mancano 7 anni all'avventura olimpica, ma la macchina di Vancouver 2010 è già in moto. Di seguito l'intervista rilasciata da John Furlong, capospedizione e presidente VANOC (il comitato per l'organizzazione dei XXI Giochi Olimpici Invernali), il 27 febbraio 2006, il giorno successivo alla Chiusura dei Giochi di Torino. Buona lettura.
---
Una squadra di giacche rosse si muove per Torino con il blocco degli appunti. Scorazzati da un autista volontario, un ingegnere che si è preso 15 giorni di ferie per guidare una carovana olimpica, guardano e chiedono. E' il comitato canadese che prepara Vancouver 2010, hanno le sciarpe «Canada» al collo e fogli zeppi di dettagli da portare a casa. John Furlong, è il capospedizione, presidente del Vanoc, un irlandese che è anche stato capitano della nazionale di football gaelico. Giocatore di basket e di palla a mano è diventato membro del comitato olimpico canadese anni fa. Ora gira per Medal Plaza pensando ai prossimi 4 anni.
Cosa si porta via da Torino? «La consapevolezza che essere flessibili è molto meglio che essere perfetti. Prima di arrivare ho spesso parlato con chi lavorava ai Giochi italiani e sapevo che sarebbero andati alla grande. Quello che mi ha stupito è stata l'adattabilità alle situazioni. Pensavo a una Vancouver splendida senza nulla fuori posto, ora penso più a una struttura che sappia far fronte agli imprevisti».
Un esempio di adattabilità? «La nevicata al Sestriere. Il primo giorno di gare in montagna li ho visti provati, molta gente, strade bloccate, difficoltà nel fare arrivare i tifosi. Da dietro le quinte ho osservato come hanno raggruppato i volontari e messo tutti al lavoro con un piano che variava di continuo. Il giorno della neve mi è venuta pena per loro, temevo un tracollo e invece hanno capitalizzato la partenza caotica e risolto al meglio. Sono rimasto sbalordito dalla prontezza e dalla disponibilità oltre che dal numero di volontari. Il reclutamento di queste persone deve essere un momento chiave anche per noi».
Il dato più positivo di questi Giochi? «Gli impianti, ma non solo architettonicamente, proprio l'idea che c'è alla base. E' la prima volta in cui l'atleta sta al centro. E' tutto studiato in funzione dei protagonisti. Fino a qui era la città ospitante il fulcro ed è un cambio di prospettiva interessante. Forse vale la pena di sacrificare qualche miglioria e concentrarsi sullo sport».
Qualcosa che non vi è piaciuto ci sarà. «Sì, ma penso faccia parte del dna di questa Nazione. Sono state le Olimpiadi di Torino, hanno fortemente voluto che fosse il riscatto di una città forse poco conosciuta prima. Noi vogliamo che siano Olimpiadi canadesi. E' una sfida perché il Canada è enorme, comprende differenze, lingue diverse e per noi devono essere i Giochi di una Nazione. E' un obiettivo importante e in questo non seguiremo Torino. Noi siamo aperti, è la nostra forza».
Torino è rimasta fredda a lungo e poi di colpo si è emozionata, a Vancouver come funziona? «Ho un po' paura perché noi aspettiamo da tanto questa opportunità, la vittoria della candidatura è stato un trionfo nazionale e la voglia di Giochi si sente già. E' difficile sia sfruttare questa energia nei prossimi anni sia mantenerla viva». Dalle cerimonie avete imparato qualcosa? «L'apertura è stata la festa più bella mai vista alle Olimpiadi. C'era tutto il design italiano, la lirica, il teatro, si respirava davvero la vostra cultura. In Canada non è un valore così uniforme, sarà complicato. La prima sera è stata la più difficile. Ho pensato: cosa accidenti possiamo fare per essere all'altezza di questo show?». L'idea Medal Plaza vi è piaciuta. Avete anche parlato con chi l'ha gestita. Pensate di replicare queste premiazioni? «Abbiamo valutato. Bello coinvolgere più persone di quelle presenti alla gara, ma per noi Medal Plaza sarà lo stadio. Ho visto molta gente che qui non riusciva ad accedere, stava per strada. Noi vogliamo aprire il più possibile». Anche voi avrete Giochi divisi in due. Città Vancouver e montagna Whistler, 120 km di distanza. Qui si sono viste due Olimpiadi diverse, vi va bene così? «Sì perché l'atmosfera delle piste è unica, ma non può bastare a contenere questo evento. Non si può chiudere il mondo in una baita. Qui abbiamo visto che affiancare lo spirito unico della montagna, all'agitazione che esiste solo in città è la miscela ideale». (lastampa.it,27.02.06)
Nessun commento:
Posta un commento