
27.2.09
Norvegia padrona, ma l'Italia c'è

24.2.09
Follis, una gioia mondiale

In precedenza, Magda Genuin era stata eliminata in una delle batterie delle semifinali, mentre nelle qualificazioni della mattinata erano uscite di scena Elisa Brocard e Karin Moroder. "Capirò più avanti questa vittoria - ha detto la Follis - l'ho sempre presa come una gara uguale alle altre. Ho avuto anche un po' di fortuna, riuscivo sempre a essere seconda e a passare quando volevo. Ho dato tutto nel finale. Questa vittoria è per me e mio marito. Poi per la squadra e i tecnici, siamo un bel gruppo. Quest'oro era un sogno ed è diventato realtà " le e dichiarazioni della vincitrice.
Si tratta del primo successo dell'Italia in questi Mondiali; sul podio sono già saliti Marianna Longa, argento nella 10 chilometri a tecnica classica, e Giorgio Di Centa, bronzo nella 30 chilometri a inseguimento. Per la Follis, 31 anni della Forestale, è il terzo podio ai Mondiali dopo i bronzi nella 10 chilometri a tecnica libera di Sapporo 2007 e con la squadra a Oberstdorf 2005. Nessun azzurro è entrato nella finale A della sprint 1,5 chilometri maschile a tecnica libera. (Fonte: Gazzetta dello Sport)
22.2.09
Fondo: bronzo per Di Centa

_Arriva la seconda medaglia per l'Italia nei Mondiali di sci nordico di Liberec. Il merito è di Giorgio Di Centa, che ha conquistato la medaglia di bronzo nella pursuit (15Km tc+15Km tl) alle spalle del norvegese Petter Northug (1:15:52.4) e dello svedese Anders Soedergren. Il friulano è riuscito ad infilarsi nella fuga decisiva ispirata da Soedergren e nel finale ha approfittato della caduta di Alexander Legkov che pareva soffiargli il bronzo a 400 metri dal traguardo. Molto bene anche Roland Clara, quinto al traguardo dopo una belal rimonta nel passo pattinato, mentre Valerio Checchi e Pietro Piller Cottrer hanno accusato qualche problema con gli nella seconda parte di gara terminando in ventunesima e trentaduesima posizione.
Giorgio Di Centa commenta la medaglia di bronzo, la quarta in carriera fra gare individuali e prove a squadre. "Sinceramente avevo qualcosa in meno rispetto ai miei tre avversari nel tratto conclusivo - spiega il carabiniere friulano -. Nortthug ha fatto uno strappo incredibile nella salita finale, era impossibile stare dietro sia a lui che a Soedergren. Poi ho visto cadere Legkov davanti a me e ce l'ho fatta. Sono stato fortunato, ma le gare vanno in questo modo. Altre volte il destino mi ha tolto qualcosa, stavolta me l'ha restituito. Al di là del risultato, avrei accettato con serenità qualsiasi risultato, perchè avevo preparato quest'appuntamento nella maniera giusta. Il bronzo è un ulteriore stimolo a preseguire questa avventura con la massima serenità, solitamente in manifestazioni come Mondiali o Olimpiadi sono costretto ad inseguire il risultato nelle ultime gare, stavolta l'ho cxentrato al primo colpo".
Molto bene anche Roland Clara, bravissimo in pattinato dove ha recuperato moltissime posizioni. "Nei primi giri faticavo tanto perchè non mi giravano bene gli sci, così gli allenatori mi hanno consigliato di usare corsie diverse. Per fortuna in skating le cose sono andate meglio, davanti hanno rallentato leggermente consentedomi di rientrare. Per alcune centinaia di metri mi sono ritrovato anche in testa, è una sensazione meravigliosa. Poi Soedergren ha allungato nel penultimo giro facendo la differenza, ho perduto qualche metro senza più recuperarlo. Però rimane una prestazione buona, il podio di Centa è un po' di tutta la squadra, sono sempre contento quando un compagno di squadra arriva davanti".
Pietro Piller Cottrer è stato fra i protagonisti della prima parte, poi si è progressivamente allontanato dai migliori. "Dopo il pit stop ho capito che non avrei avuto alcuna possibilità di rimanere coi migliori perchè gli sci non andavano come dovevano. Ero preoccupato sin dalla vigilia di questo particolare e purtroppo i miei timori erano giusti. Comunque ho dimostrato di esserci fisicamente, avrò altre possibilità per rifarmi".(Fonte: fisi.it)
Molto bene anche Roland Clara, bravissimo in pattinato dove ha recuperato moltissime posizioni. "Nei primi giri faticavo tanto perchè non mi giravano bene gli sci, così gli allenatori mi hanno consigliato di usare corsie diverse. Per fortuna in skating le cose sono andate meglio, davanti hanno rallentato leggermente consentedomi di rientrare. Per alcune centinaia di metri mi sono ritrovato anche in testa, è una sensazione meravigliosa. Poi Soedergren ha allungato nel penultimo giro facendo la differenza, ho perduto qualche metro senza più recuperarlo. Però rimane una prestazione buona, il podio di Centa è un po' di tutta la squadra, sono sempre contento quando un compagno di squadra arriva davanti".
Pietro Piller Cottrer è stato fra i protagonisti della prima parte, poi si è progressivamente allontanato dai migliori. "Dopo il pit stop ho capito che non avrei avuto alcuna possibilità di rimanere coi migliori perchè gli sci non andavano come dovevano. Ero preoccupato sin dalla vigilia di questo particolare e purtroppo i miei timori erano giusti. Comunque ho dimostrato di esserci fisicamente, avrò altre possibilità per rifarmi".(Fonte: fisi.it)
L'ultimo "fatemi capire"
_Il ricordo di Candido Cannavò è un pensiero parallelo, legato indissolubilmente allo sport, quello vero, genuino, quasi figlio dell'essenza più alta dettata da Olimpia. Lo ricordo in molte sfaccettature, una su tutte, sala stampa del Giro 1998.
Qualcuno parla di un Giro d'Italia con meno tappe, Candido ignorò il perbenismo dovuto della diretta e andò su tutte le furie. La tradizione fatta storia. Minata.
Qualcuno voleva intaccarla in nome di chissà quale interesse.
Nel leggere i suoi editoriali ho assaporato lo sport fatto ideale. In qualche modo mi sono nutrito delle sue parole. Sono sportivamente cresciuto con loro e grazie a loro. Ogni successo azzurro, della mia squadra del cuore, meno calcio (in un momento nel quale il calcio era anche più potente di adesso) a prevalere sulle altre discipline ricordo anche di una Gazzetta dello Sport più equilibrata. Il mio unico auspicio: che "Zomegnan" e lo staff del Giro d'Italia del centenario lavorino per regalare a Candido uno dei Giri più puliti degli ultimi anni. Lo onorerebbero senza parole ma con un devastante omaggio che, sfido, lo renderebbe più entusiasta di ogni vittoria messa in cronaca con le parole e dettata dal cuore.
Qualcuno parla di un Giro d'Italia con meno tappe, Candido ignorò il perbenismo dovuto della diretta e andò su tutte le furie. La tradizione fatta storia. Minata.
Qualcuno voleva intaccarla in nome di chissà quale interesse.
Nel leggere i suoi editoriali ho assaporato lo sport fatto ideale. In qualche modo mi sono nutrito delle sue parole. Sono sportivamente cresciuto con loro e grazie a loro. Ogni successo azzurro, della mia squadra del cuore, meno calcio (in un momento nel quale il calcio era anche più potente di adesso) a prevalere sulle altre discipline ricordo anche di una Gazzetta dello Sport più equilibrata. Il mio unico auspicio: che "Zomegnan" e lo staff del Giro d'Italia del centenario lavorino per regalare a Candido uno dei Giri più puliti degli ultimi anni. Lo onorerebbero senza parole ma con un devastante omaggio che, sfido, lo renderebbe più entusiasta di ogni vittoria messa in cronaca con le parole e dettata dal cuore.
_Era fine giugno del 2000, l'indomani di Italia-Olanda, epica semifinale agli Europei, vinta ai rigori dall'Italia di Zoff. Al telefono Gianni Agnelli con tutte le sue pungenti e svariate curiosità mattutine. Si parla anche della partita ancora calda sui giornali: "Il nostro portiere — dice l'Avvocato — non è andato bene, ha fatto dei pasticci, non è stato fortunato". "Ma come — replico io — il nostro portiere era Toldo e ha fatto miracoli". E lui: "Per nostro intendevo il portiere della Juventus, Van der Sar, poveretto".
Edwin Van der Sar, alto come un pivot del basket, dallo sguardo allampanato, alla Juve non aveva né fortuna, né buona stampa. Prima che diventasse «Ice Rabbit», coniglio di ghiaccio, l'Italia lo aveva battezzato Papero. Parava e si distraeva. Nelle chiacchiere da bar si sussurrava che non vedesse i tiri da lontano e di notte neanche quelli da vicino. La frase di Agnelli annunciava una separazione, civilmente, senza traumi. Si aprì per la Juve l'era di Buffon. A nove anni di distanza, uno può pensare: chissà in quale Jurassic Park quello strano tipo di Van der Sar si gode la sua pensione. E invece dai 29 ai 39 anni quella «pertica» olandese ha costruito la parte più sfavillante della sua carriera sino ai confini della leggenda. Adesso ce lo ritroviamo addirittura sul tetto d'Europa con un record di imbattibilità di 14 partite consecutive, titolare indiscusso del Manchester, la squadra più forte del mondo, oltre che «mostro sacro» della nazionale olandese dove ha messo insieme 130 presenze: un'eternità.
Siamo a pochi giorni dalla sfida tra Inter e Manchester. E io credo che l'evento, di per sé avvincente e crudele, possa essere annunciato non solo dai proclami di quegli ottimi imbanditori che sono Ferguson e Mourinho, dal confronto ruggente tra Rooney e Ibrahimovic, dal fascino di Cristiano Ronaldo o dai 44 anni di fame europea nerazzurra, ma anche da un omaggio alla storia silenziosa ed esemplare di questo Edwin Van der Sar che l'Italia liquidò quasi con irrisione ricordando di lui solo le incertezze e il famoso «cucchiaio» che gli fece Totti nella sfida ai rigori di Italia-Olanda 2000. Non c'è che dire: la vita ha fantasia e in certi casi sa vendicarsi con un sorriso.
Van der Sar ha 39 anni, ma l'età di un portiere non ha confini strettamente anagrafici. Il cosiddetto «vecchio» avanza anche in casa nostra. Proprio mentre lo spilungone olandese arrivava, minuto più minuto meno, sul tetto europeo dell'imbattibilità, Inzaghi, prossimo ai 36 anni, superava Raul in cima alla classifica dei cannonieri europei: 66 gol. Pippo è un «mostro». Se gli dedicheranno un fumetto, bisognerà partire dai gol che segnava nella culla.(Fonte: Gazzetta dello Sport & Luca Tittoni)
21.2.09
Sci di Fondo: i risultati

_L'estone Andrus Veerpalu ha vinto l'oro nella 15 chilometri a tecnica classica ai mondiali di sci nordico in corso di svolgimento a Liberec, in Repubblica Ceca. In una gara tremenda, sotto una neve battente che ha estremamente complicato la vita agli atleti in gara, il campione olimpico in carica ha chiuso con il tempo di 38"54"4 precedendo l"idolo di casa, il ceko Lukas Bauer, campione del mondo in carica, reduce però da una stagione condizionata da una non perfetta forma fisica. In quest'occasione, Bauer è riuscito a precedere il finlandese Heikkinen, cui è andata la medaglia di bronzo. Purtroppo è stata una giornata da dimenticare per i colori azzurri. Il migliore degli italiani, infatti, è stato Valerio Checchi, piazzatosi 24°, risultato che gli permette di candidarsi per un posto in staffetta nella frazione in alternato
_Inizia bene per i colori azzurri la rassegna iridata che si è appena aperta a Liberec, in Repubblica Ceca.Nella prima gara della manifestazione, infatti, è arrivata subito una medaglia per l'Italia. Naturalmente la disciplina è lo sci di fondo, quello che tra tutti (con il salto e la combinata nordica) ci offre più possibilità di ambire al podio.
Silvio Fauner l'aveva detto. In questa gara Marianna Longa era colei su cui si puntava di più e la valtellinese non ha tradito le aspettative. Sotto una neve che era già annunciata, la livignese è stata autrice di una gara regolare, che l'ha sempre mantenuta nelle prime posizioni durante i vari intermedi. I suoi tempi sono sempre stati tra la seconda e la terza posizione, in lotta con le altre due atlete che poi hanno composto il resto del podio.
La vittoria è andata a Aino Kaisa Saarinen, leader anche della Coppa del Mondo; la finlandese ha condotto una gara quasi sempre di testa, salvo un piccolo cedimento al km 3,95, dove ha fatto registrare il secondo miglior tempo. In quel momento la più veloce era colei che poi si è piazzata terza, Justyna Kowalczyc. La polacca aveva un vantaggio di 6 decimi sulla Saarinen e di 6"5 sull'azzurra, ma la situazione è progressivamente cambiata.
Complice una flessione della polacca, Marianna è infatti riuscita a ridurre il distacco e a mantenersi sui suoi stessi tempi, mentre la finlandese prendeva la fuga. Il rush finale della Longa è stato ammirevole: dal km 8,95 in poi è stato un crescendo, che le ha permesso di accorciare il distacco dalla leader della gara da 8"3 a 4"2, abbastanza per staccare la Kowalczyc, ma purtroppo non sufficiente per conquistare l'oro.
Questi invece i risultati delle altre italiane in gara:
27a Karin Moroder a 2'19"4
49a Veronica Cavallar a 3'34"4
(fonte: eurosport)
Silvio Fauner l'aveva detto. In questa gara Marianna Longa era colei su cui si puntava di più e la valtellinese non ha tradito le aspettative. Sotto una neve che era già annunciata, la livignese è stata autrice di una gara regolare, che l'ha sempre mantenuta nelle prime posizioni durante i vari intermedi. I suoi tempi sono sempre stati tra la seconda e la terza posizione, in lotta con le altre due atlete che poi hanno composto il resto del podio.
La vittoria è andata a Aino Kaisa Saarinen, leader anche della Coppa del Mondo; la finlandese ha condotto una gara quasi sempre di testa, salvo un piccolo cedimento al km 3,95, dove ha fatto registrare il secondo miglior tempo. In quel momento la più veloce era colei che poi si è piazzata terza, Justyna Kowalczyc. La polacca aveva un vantaggio di 6 decimi sulla Saarinen e di 6"5 sull'azzurra, ma la situazione è progressivamente cambiata.
Complice una flessione della polacca, Marianna è infatti riuscita a ridurre il distacco e a mantenersi sui suoi stessi tempi, mentre la finlandese prendeva la fuga. Il rush finale della Longa è stato ammirevole: dal km 8,95 in poi è stato un crescendo, che le ha permesso di accorciare il distacco dalla leader della gara da 8"3 a 4"2, abbastanza per staccare la Kowalczyc, ma purtroppo non sufficiente per conquistare l'oro.
Questi invece i risultati delle altre italiane in gara:
27a Karin Moroder a 2'19"4
49a Veronica Cavallar a 3'34"4
16.2.09
Zoeggeler: ottava meraviglia!

L'azzurro Armin Zoeggeler si conferma il "cannibale" dello slittino grazie al successo nella penultima prova di Coppa del Mondo a Calgary, in due manches davanti al tedesco Felix Loch (battuto di 315 millesimi) e al russo Albert Demtschenko (+421). Questa vittoria permette a Zoeggeler di conquistare con una gara di anticipo la sua ottava Coppa del Mondo. Per Zoeggeler si tratta della 45ª affermazione della carriera, la quinta stagionale. Soddisfattissimo il carabiniere di Foiana: "Sono veramente contento di avere chiuso il discorso in anticipo - ha spiegato Zoeggeler -. La pista di Calgary mi piace molto e riesco a guidarla bene, il mio successo è di tutta la squadra, ma la stagione non è ancora finita perchè settimana prossima correremo sulla pista delle prossime Olimpiadi, per cui sarà fondamentale provare al massimo delle nostre potenzialità per cercare le risposte migliori".
RECORD IN VISTA - Il 35enne ha approfittato dell'opaca prova dell'altro tedesco David Moeller, solo 11° al traguardo, per diventare irraggiungibile in classifica, quando manca un solo appuntamento al tertmine della stagione, sulla pista olimpica di Vancouver. L'azzurro, battuto la settimana scorsa ai Mondiali da Loch, ha vinto anche due ori olimpici e cinque iridati, e con l'ottavo successo in Coppa si avvicina al record assoluto dell'austriaco Markus Prock, vincitore dieci volte del trofeo di cristallo. Nella gara nordamericana gli altri azzurri hanno concluso fra le decima e la sedicesima posizione: Reinhold Rainer 12°, Wilfried Huber 14° e David Mair 16°.
DOPPIO - Christian Oberstolz e Patrick Grueber, già vincitore della Coppa 4 anni fa, hanno ottenuto in Canada il loro quinto trionfo stagionale, davanti agli austriaci Peter Penz e Georg Fischler e l'altro equipaggio azzurro composto dai campioni del mondo Gerhard Plankensteiner ed Oswald Haselrieder. "Volevamo questo successo con tutte le nostre forze - ha detto Oberstolz dopo la gara -. È stata una stagione da ricordare, adesso vogliamo chiuderla con un'altra vittoria a Vancouver". Felice anche Plankensteiner, terzo al traguardo: "L'anno scorso non riuscimmo a fare una grande gara su questa pista, stavolta abbiamo migliorato. I nostri materiali erano migliori rispetto al passato, e Walter Plaikner è un grande coach". (fonte: gazzetta.it)
Italia, flop a testa alta

_Ho un'impressione. Non so quanto esatta ma ho questa sensazione. Disponiamo di due squadre di sci alpino (maschile e femminile) molto valide. Nazionali ad un passo dal poter raggiungere obiettivi di assoluto prestigio.
Il lavoro fatto in questi anni, ripartendo dal vuoto quasi assoluto (questo va sottolineato), è stato duro, i risultati seppur lentamente, sono arrivati.
Un'inezia.
Ciò che manca alle nostre nazionali per diventare grandi. Mezzi tecnici dalla Federazione che non bastano mai e convinzione. Sicuramente non disponiamo di un team fatto di fuoriclasse anni '90, per capirci non ci sono l'Alberto Tomba o la Deborah Compagnoni di turno, ma c'è la reale possibilità di fare bene. A questa squadra più che la tecnica manca a mio avviso la costanza. Non siamo campioni da staccar tutti e andarsene dall'area podio prima che scendano gli altri concorrenti (questo non lo fa neppure il super Bunder Team), ma abbiamo sostanza. Latita invece la continuità di risultati. Questa fa parte dell'essere sopra le righe, dello scendere e vincere con sicurezza. Ripetersi. A queste nazionali manca ciò. Siamo forti, non fuoriclasse, ma si può fare bene. Vancouver 2010 è un traguardo troppo importante per i colori invernali azzurri. L'auspicio è che da qui ad un anno la squadra lavori sulla testa, sui grandi eventi e sulla continuità. In questo flop azzurro in terra francese meglio concentrarsi, per il momento, altrove. Zoeggeler domina ed è sempre più re. Lui, si, è uno di quei campioni irraggiungibili. Un fuoriclasse cristallino, inarrivabile, costante come un martello, per capirci alla Tomba.
_Il presidente della Fisi, Giovanni Morzenti, traccia un bilancio dei Mondiali di Val d`Isere 2009. Un Mondiale che, per lo sci azzurro, si è concluso con due medaglie, un argento (Peter Fill in Super-G) e un bronzo (Nadia Fanchini in discesa). `Sono soddisfatto del comportamento complessivo della squadra italiana - ha spiegato Morzenti sul sito della Fisi - che è stata competitiva ad altissimo livello in tutte le gare di questo Mondiale. Certo, è mancata qualche medaglia che avrebbe reso tutti più felici, però se analizziamo il numero di quarti e quinti posti avremo la misura di quanto lo sci azzurro sia importante nel panorama mondiale`.
Il massimo dirigente dello sci azzurro poi guarda al futuro: `A fine stagione bisognerà ragionare con tecnici e atleti sul da farsi per il futuro. Sicuramente molte cose buone sono state fatte, è altrettanto vero che qualcosa bisognerà rivedere. Penso, in particolare, all`aspetto mentale e psicologico dell`approccio alla gara. Bisognerà strutturare un progetto che consenta ad atleti e tecnici di presentarsi agli appuntamenti più importanti con la consapevolezza del proprio valore e la giusta aggressività in pista: bisogna fare tutto il possibile per trasformare i quarti e i quinti posti in medaglie`. Il prossimo obiettivo di prestigio è rappresentato dalle Olimpiadi del 2010: `La Federazione lavorerà sin da subito in prospettiva Vancouver 2010 e si muoverà compatta verso l`appuntamento più importante della prossima stagione. Sono certo che il Coni sosterrà gli sport invernali in modo che tutto lo staff federale possa migliorare e portare gli atleti a mostrare tutto il loro potenziale, che è altissimo`. (Fonte: Datasport & Luca Tittoni)
Il lavoro fatto in questi anni, ripartendo dal vuoto quasi assoluto (questo va sottolineato), è stato duro, i risultati seppur lentamente, sono arrivati.
Un'inezia.
Ciò che manca alle nostre nazionali per diventare grandi. Mezzi tecnici dalla Federazione che non bastano mai e convinzione. Sicuramente non disponiamo di un team fatto di fuoriclasse anni '90, per capirci non ci sono l'Alberto Tomba o la Deborah Compagnoni di turno, ma c'è la reale possibilità di fare bene. A questa squadra più che la tecnica manca a mio avviso la costanza. Non siamo campioni da staccar tutti e andarsene dall'area podio prima che scendano gli altri concorrenti (questo non lo fa neppure il super Bunder Team), ma abbiamo sostanza. Latita invece la continuità di risultati. Questa fa parte dell'essere sopra le righe, dello scendere e vincere con sicurezza. Ripetersi. A queste nazionali manca ciò. Siamo forti, non fuoriclasse, ma si può fare bene. Vancouver 2010 è un traguardo troppo importante per i colori invernali azzurri. L'auspicio è che da qui ad un anno la squadra lavori sulla testa, sui grandi eventi e sulla continuità. In questo flop azzurro in terra francese meglio concentrarsi, per il momento, altrove. Zoeggeler domina ed è sempre più re. Lui, si, è uno di quei campioni irraggiungibili. Un fuoriclasse cristallino, inarrivabile, costante come un martello, per capirci alla Tomba.
_Il presidente della Fisi, Giovanni Morzenti, traccia un bilancio dei Mondiali di Val d`Isere 2009. Un Mondiale che, per lo sci azzurro, si è concluso con due medaglie, un argento (Peter Fill in Super-G) e un bronzo (Nadia Fanchini in discesa). `Sono soddisfatto del comportamento complessivo della squadra italiana - ha spiegato Morzenti sul sito della Fisi - che è stata competitiva ad altissimo livello in tutte le gare di questo Mondiale. Certo, è mancata qualche medaglia che avrebbe reso tutti più felici, però se analizziamo il numero di quarti e quinti posti avremo la misura di quanto lo sci azzurro sia importante nel panorama mondiale`.
Il massimo dirigente dello sci azzurro poi guarda al futuro: `A fine stagione bisognerà ragionare con tecnici e atleti sul da farsi per il futuro. Sicuramente molte cose buone sono state fatte, è altrettanto vero che qualcosa bisognerà rivedere. Penso, in particolare, all`aspetto mentale e psicologico dell`approccio alla gara. Bisognerà strutturare un progetto che consenta ad atleti e tecnici di presentarsi agli appuntamenti più importanti con la consapevolezza del proprio valore e la giusta aggressività in pista: bisogna fare tutto il possibile per trasformare i quarti e i quinti posti in medaglie`. Il prossimo obiettivo di prestigio è rappresentato dalle Olimpiadi del 2010: `La Federazione lavorerà sin da subito in prospettiva Vancouver 2010 e si muoverà compatta verso l`appuntamento più importante della prossima stagione. Sono certo che il Coni sosterrà gli sport invernali in modo che tutto lo staff federale possa migliorare e portare gli atleti a mostrare tutto il loro potenziale, che è altissimo`. (Fonte: Datasport & Luca Tittoni)
14.2.09
Flaminio: torna di scena il Rugby!

13.2.09
"Altro non fu l'ebbrezza che malore"

_Essere Pantani, tormentato anche nel trionfo. Ed essere tutti quelli che lo hanno braccato, inseguito, incontrato, avvicinato o anche solo sognato. Silvio Sarta, giornalista e autore, dedica al campione una pièce intitolata "Proprio come Pantani. Vivere da mito, morire da soli", che presto verrà rappresentata nei teatri italiani.
A cinque anni dalla scomparsa del Pirata, trovato morto nella stanza D5 del residence "Le Rose" di Rimini, Sarta ricostruisce le ultime ore immaginate e sofferte da uno dei campioni più amati dello sport italiano. Una sorta di "viaggio attraverso l’anima e il corpo di un uomo in caduta libera. Musica, parole e suggestioni visive: un pathos multimediale per restituire l'onore all'uomo, la gloria al campione e, forse, un po' di verità a tutti noi".
Per la morte di Pantani il tribunale di Rimini ha condannato nel gennaio dello scorso anno Fabio Carlino, ex manager di discoteche, con l'accusa di spaccio di stupefacenti e morte come conseguenza dello spaccio. Ma la famiglia del Pirata continua a battersi per riaprire l'inchiesta, convinta che sulla vicenda non sia stata ancora fatta chiarezza. (Fonte: La Gazzetta dello Sport)
"Brera restò di sasso"

Janka impressiona e vince

11.2.09
Bel Mondo

_Torino 2006, tre anni dopo. Ricordando la Cerimonia di Apertura.
_La Fiamma è donna. L’Olimpiade è donna. Torino è donna, e che donna: elegante, magica, misteriosa, già nel quarto secolo San Massimo la chiamava «la Madre». Da ieri Torino e le sue donne sono al centro del mondo. Di un mondo che, visto da qui, in questa notte di energia pura, sembra già un mondo di donne abitato da uomini sparuti e spauriti, tranne qualche vecchio signore alla Ciampi, che quando viene nominato sa ancora togliersi con maschia educazione il cappello.
La prima donna è Carla Bruni, torinese di Francia, e incede portando il tricolore ripiegato a salvietta come la più algida delle cameriere un vassoio di pasticcini. La seconda è una bambina di 9 anni, Eleonora, e canta l’inno di Mameli con spigliatezza talmente soave che quasi ci si dimentica che è in play-back. Le bandiere sono sorrette per lo più da mani di donna. Mani forti e decise, come quelle della ragazza danese che sventola senza paura il vessillo calpestato dagli estremisti islamici. O della nostra Carolina Kostner, inguainata come gli altri compari azzurri in un’elegante giacca a vento bronzea, liberamente ispirata alla carta delle vecchie caramelle Sperlari. Femminili sono le canzoni che, dagli Chic a Gloria Gaynor, fanno da colonna sonora al passaggio degli atleti, avvolgendo i quaranta-cinquantenni di ambo i sessi in una nuvola di compiacimento nostalgico.
Anche l’immortale Battisti parla di una donna: per amico.
L’universo femminile è stato il filo che ha tenuto insieme tutte le emozioni. Lo trovavi nei simboli della coreografia, nella forma a utero del palcoscenico, nella conchiglia botticelliana da cui è uscita una Venere senza pelliccia che si chiamava Eva ed era la Herzigova. Era una donna, e che donna, la Ferrari che ha disegnato i cinque cerchi in testacoda. Non era una donna il torinese che ha letto a bocca storta il discorso inaugurale, l’ingegner Castellani. Ma anche questa eccezione, che a qualcuno sembrerà una pecca nella sceneggiatura, conteneva un segnale di speranza, perché un mondo dove i Castellani fanno i presidenti dei comitati organizzatori è una miniera di opportunità davvero per tutti.
L’emozione assoluta l’hanno forse regalata Sophia Loren, Isabel Allende, Susan Sarandon e le altre signore che hanno introdotto nello stadio la bandiera olimpica. Solcavano il campo con passo austero, vestite di bianco come sacerdotesse pagane impegnate in un rito atavico di iniziazione solenne.
Poi sul palco è salita Yoko Ono. Franca Ciampi, Cherie Blair e Laura Bush sorridevano in tribuna: una vedova e tre mogli che anche da sole brillano di luce propria. Infine la torcia, il sorriso aperto di Deborah Compagnoni e quello tenace di Stefania Belmondo, la donna che ha acceso il mondo. Un mondo di donne, più pacifico e concreto del nostro, che non esiste ancora nella realtà, ma già vibra nei cuori commossi della notte olimpica. (Fonte: La Stampa di Torino)
_La Fiamma è donna. L’Olimpiade è donna. Torino è donna, e che donna: elegante, magica, misteriosa, già nel quarto secolo San Massimo la chiamava «la Madre». Da ieri Torino e le sue donne sono al centro del mondo. Di un mondo che, visto da qui, in questa notte di energia pura, sembra già un mondo di donne abitato da uomini sparuti e spauriti, tranne qualche vecchio signore alla Ciampi, che quando viene nominato sa ancora togliersi con maschia educazione il cappello.
La prima donna è Carla Bruni, torinese di Francia, e incede portando il tricolore ripiegato a salvietta come la più algida delle cameriere un vassoio di pasticcini. La seconda è una bambina di 9 anni, Eleonora, e canta l’inno di Mameli con spigliatezza talmente soave che quasi ci si dimentica che è in play-back. Le bandiere sono sorrette per lo più da mani di donna. Mani forti e decise, come quelle della ragazza danese che sventola senza paura il vessillo calpestato dagli estremisti islamici. O della nostra Carolina Kostner, inguainata come gli altri compari azzurri in un’elegante giacca a vento bronzea, liberamente ispirata alla carta delle vecchie caramelle Sperlari. Femminili sono le canzoni che, dagli Chic a Gloria Gaynor, fanno da colonna sonora al passaggio degli atleti, avvolgendo i quaranta-cinquantenni di ambo i sessi in una nuvola di compiacimento nostalgico.
Anche l’immortale Battisti parla di una donna: per amico.
L’universo femminile è stato il filo che ha tenuto insieme tutte le emozioni. Lo trovavi nei simboli della coreografia, nella forma a utero del palcoscenico, nella conchiglia botticelliana da cui è uscita una Venere senza pelliccia che si chiamava Eva ed era la Herzigova. Era una donna, e che donna, la Ferrari che ha disegnato i cinque cerchi in testacoda. Non era una donna il torinese che ha letto a bocca storta il discorso inaugurale, l’ingegner Castellani. Ma anche questa eccezione, che a qualcuno sembrerà una pecca nella sceneggiatura, conteneva un segnale di speranza, perché un mondo dove i Castellani fanno i presidenti dei comitati organizzatori è una miniera di opportunità davvero per tutti.
L’emozione assoluta l’hanno forse regalata Sophia Loren, Isabel Allende, Susan Sarandon e le altre signore che hanno introdotto nello stadio la bandiera olimpica. Solcavano il campo con passo austero, vestite di bianco come sacerdotesse pagane impegnate in un rito atavico di iniziazione solenne.
Poi sul palco è salita Yoko Ono. Franca Ciampi, Cherie Blair e Laura Bush sorridevano in tribuna: una vedova e tre mogli che anche da sole brillano di luce propria. Infine la torcia, il sorriso aperto di Deborah Compagnoni e quello tenace di Stefania Belmondo, la donna che ha acceso il mondo. Un mondo di donne, più pacifico e concreto del nostro, che non esiste ancora nella realtà, ma già vibra nei cuori commossi della notte olimpica. (Fonte: La Stampa di Torino)
Meglio il Brasile, Italia ko

_La Federcalcio è un po’ più ricca, dopo l’amichevole di Londra con il Brasile. Chi spera nelle sorti future della Nazionale lascia invece lo stadio dell’Arsenal con la sensazione di una maggiore povertà e di aver assistito a una battaglia impari, che si è riequilibrata solo nel secondo tempo quando i sudamericani sentivano la vittoria in tasca e Lippi aveva buttato finalmente in campo una formazione più competitiva, con Toni di punta assistito da Giuseppe Rossi, l’unica nota positiva nella serata. Due reti di scarto ci stanno tutte, pur con il rimpianto di due gol annullati (uno ingiustamente) e dei due prodigi con cui Julio Cesar ha salvato la porta del Brasile nel finale. La realtà è che per 45’ l’Italia è stata soggiogata come non le era mai successo nell’era di Lippi, che interrompe la propria serie positiva a un passo dal record mondiale delle 32 partite senza sconfitte. «Non pensavo di pagare un dazio così forte», ha detto il ct. Ora deve capirne le ragioni.
Brasile-Italia era la partita dei sogni. La poesia del calcio. Ci si è risvegliati dopo meno di mezz’ora come se si fosse andati a letto dopo aver consumato una padella di peperoni e patate, più propedeutica agli incubi. Manca un anno e mezzo al Mondiale, Lippi deve lavorarci su. Il progetto che si intuisce dietro a simili partite può rivelarsi una perdita di tempo perché le figure nuove cui il ct dà fiducia, come ieri Montolivo e Pepe impiegati da subito, non trovano lo spessore internazionale neppure nei loro club e non è mandandoli allo sbaraglio una volta ogni tanto che li si aiuta a crescere. Probabilmente la notte dell’Emirates servirà per distinguere i veri emergenti come Giuseppe Rossi, un magnifico e rapido incursore che ha preso consistenza nel Villarreal, da chi è lontano dal potersi imporre nella Nazionale che punta in alto. Quanto ai vecchi, da un Mondiale all’altro la differenza può essere impietosa. La cosa strana è vederli sbagliare giocate che persino tra i dilettanti farebbero scandalo: la sventatezza con cui Pirlo si è fatto rubare la palla da Robinho ai limiti dell’area nell’azione del secondo gol è da ritiro della tessera e un paio di volte Buffon è stato messo in pericolo dalle indecisioni di Cannavaro e dello stesso Pirlo nel passare la palla all’indietro. Uomini e schemi. Affrontare il palleggio dei brasiliani con un centrocampo leggero e tre punte, o roba del genere, è stato un atto superbo: nel primo tempo se ne sono pagate le conseguenze con la grande libertà di cui hanno goduto Robinho, Elano (i due che fanno bisboccia al Manchester City ma qui si sono mostrati micidiali) e Ronaldinho, il quale aveva promesso di incantare Ancelotti che lo fa giocare poco e c’è riuscito. Il Fratel Coniglietto milanista si è concesso numeri e giocate di una volta, arretrava a cercare la palla e la portava avanti senza incontrare resistenza: per lui, tranne che per un’entrataccia di Perrotta sulle caviglie, è stata una sera di allegra libertà che lo lancia verso il derby di Milano. Peccato, perché l’avvio dell’Italia era stato incoraggiante. L’apertura spaziale di Pirlo aveva raggiunto Grosso a 40 metri e il terzino che firmò il rigore del trionfo a Berlino aveva segnato al 4’: Webb, l’arbitro che aveva sostituito l’infortunato Riley, annullava per fuorigioco sull’errore del guardalinee. Ritmo, corsa, divertimento. Pareva che i giocatori si fossero accordati per trovare il puro piacere del football. La cornice del nuovo stadio dell’Arsenal, affollatissimo, aiutava la scena. Finché al 13’ il Brasile arrivava al gol, in palleggio rapido, con l’incursione di Robinho in una voragine davanti alla difesa azzurra e l’assist per Elano di fronte a Buffon. Da quel momento l’Italia dei sogni si sarebbe svegliata soltanto negli spogliatoi, con il tè dell’intervallo. Il Brasile era sciolto, abile, manovriero ma aveva anche più aggressività e più attenzione degli azzurri, che crollavano al 27’ sotto il colpo di Robinho: palla rubata a Pirlo, dribbling su Zambrotta e, sull’arrivo di Legrottaglie, diagonale sul palo opposto. La ripresa cambiava volto. Con più aggressività (Dunga si beccava con Zambrotta per un intervento duro dell’azzurro) e con la bravura di Toni nel tenere palla in area, l’Italia tentava la rimonta, un altro Rossi metteva la firma alle difficoltà brasiliane 27 anni dopo il Mondiale di Spagna: ma ci si fermava alle parate di Julio Cesar e alla rete annullata a Toni, che aveva controllato con la mano il cross di Pirlo. (Fonte: Gazzetta dello Sport)
Brasile-Italia era la partita dei sogni. La poesia del calcio. Ci si è risvegliati dopo meno di mezz’ora come se si fosse andati a letto dopo aver consumato una padella di peperoni e patate, più propedeutica agli incubi. Manca un anno e mezzo al Mondiale, Lippi deve lavorarci su. Il progetto che si intuisce dietro a simili partite può rivelarsi una perdita di tempo perché le figure nuove cui il ct dà fiducia, come ieri Montolivo e Pepe impiegati da subito, non trovano lo spessore internazionale neppure nei loro club e non è mandandoli allo sbaraglio una volta ogni tanto che li si aiuta a crescere. Probabilmente la notte dell’Emirates servirà per distinguere i veri emergenti come Giuseppe Rossi, un magnifico e rapido incursore che ha preso consistenza nel Villarreal, da chi è lontano dal potersi imporre nella Nazionale che punta in alto. Quanto ai vecchi, da un Mondiale all’altro la differenza può essere impietosa. La cosa strana è vederli sbagliare giocate che persino tra i dilettanti farebbero scandalo: la sventatezza con cui Pirlo si è fatto rubare la palla da Robinho ai limiti dell’area nell’azione del secondo gol è da ritiro della tessera e un paio di volte Buffon è stato messo in pericolo dalle indecisioni di Cannavaro e dello stesso Pirlo nel passare la palla all’indietro. Uomini e schemi. Affrontare il palleggio dei brasiliani con un centrocampo leggero e tre punte, o roba del genere, è stato un atto superbo: nel primo tempo se ne sono pagate le conseguenze con la grande libertà di cui hanno goduto Robinho, Elano (i due che fanno bisboccia al Manchester City ma qui si sono mostrati micidiali) e Ronaldinho, il quale aveva promesso di incantare Ancelotti che lo fa giocare poco e c’è riuscito. Il Fratel Coniglietto milanista si è concesso numeri e giocate di una volta, arretrava a cercare la palla e la portava avanti senza incontrare resistenza: per lui, tranne che per un’entrataccia di Perrotta sulle caviglie, è stata una sera di allegra libertà che lo lancia verso il derby di Milano. Peccato, perché l’avvio dell’Italia era stato incoraggiante. L’apertura spaziale di Pirlo aveva raggiunto Grosso a 40 metri e il terzino che firmò il rigore del trionfo a Berlino aveva segnato al 4’: Webb, l’arbitro che aveva sostituito l’infortunato Riley, annullava per fuorigioco sull’errore del guardalinee. Ritmo, corsa, divertimento. Pareva che i giocatori si fossero accordati per trovare il puro piacere del football. La cornice del nuovo stadio dell’Arsenal, affollatissimo, aiutava la scena. Finché al 13’ il Brasile arrivava al gol, in palleggio rapido, con l’incursione di Robinho in una voragine davanti alla difesa azzurra e l’assist per Elano di fronte a Buffon. Da quel momento l’Italia dei sogni si sarebbe svegliata soltanto negli spogliatoi, con il tè dell’intervallo. Il Brasile era sciolto, abile, manovriero ma aveva anche più aggressività e più attenzione degli azzurri, che crollavano al 27’ sotto il colpo di Robinho: palla rubata a Pirlo, dribbling su Zambrotta e, sull’arrivo di Legrottaglie, diagonale sul palo opposto. La ripresa cambiava volto. Con più aggressività (Dunga si beccava con Zambrotta per un intervento duro dell’azzurro) e con la bravura di Toni nel tenere palla in area, l’Italia tentava la rimonta, un altro Rossi metteva la firma alle difficoltà brasiliane 27 anni dopo il Mondiale di Spagna: ma ci si fermava alle parate di Julio Cesar e alla rete annullata a Toni, che aveva controllato con la mano il cross di Pirlo. (Fonte: Gazzetta dello Sport)
10.2.09
Italia Vs Brasile, è il derby del mondo

9.2.09
Vonn? Cannibale. Capolavoro Fanchini!

7.2.09
L'Italia del rugby si arrende

4.2.09
Peter Fill vola, riscossa azzurra

_Un podio di fenomeni. Tra il campione del mondo di superG, lo svizzero Didier Cuche, e il bronzo del norvegese Aksel Lund Svindal, ecco la prima medaglia azzurra ai Mondiali di sci alpino di Val d'Isère: a salire sul podio è Peter Fill, ventiseienne carabiniere di Castelrotto, cugino di Denise Karbon, uscito in questa stagione da un tunnel di problemi soprattutto tecnici che ne avevano rallentato la crescita. A due anni dai fallimentari Mondiali svedesi di Are, ecco finalmente la rinvincita in una gara durissima, ma regolare stavolta, non come il superG femminile del giorno prima. Un sole mediterraneo ha illuminato la Face de Bellevarde, la pista ripidissima che non consente errori: chi prende troppa velocità rischia di scivolare in un dirupo per centinaia di metri, come capita all'americano Ligety. Tra i primi a partire c'è Patrick Staudacher, il campione del mondo in carica, che passa brevemente al comando: alla fine abdicherà con il 17° posto. Più autorevole la candidatura di Christof Innerhofer, 24 anni, al debutto iridato in questa specialità, grandissimo per buona parte della gara prima di cedere leggermente in fondo. Per superare il nostro longilineo discesista ci vuole il 35enne Didier Cuche, un tempo macellaio, taurino ed a suo agio in certi passaggi che sembrano un gigante ad alta velocità. Un altro colosso, il campione del mondo di discesa e gigante Svindal, supera Innerhofer. Quando tocca a Fill, col numero 26, è ormai lotta fratricida: Peter sa che deve passare indenne nel tratto centrale, per dare tutto nel finale. È di parola, anzi, rischia pure troppo, ma è più veloce anche di Svindal e afferra la medaglia d'argento.
"Sono contento, anche se la sensazione di vincere, provata quest'anno la prima volta a Laske Louise, è tutta un'altra cosa. Ho fatto davvero bene a cambiare gli sci quest'anno, l'anno scorso la Face non mi era nemmeno piaciuta". Triste Innerhofer, quarto a otto centesimi dall'argento: "Questa gara mi fa male". A trionfare è un atleta di classe purissima. Lo svizzero Cuche, nella lunghissima carriera, ha vinto "solo" 8 volte in Coppa del Mondo. Colpa della forzata convivenza con gente del calibro di Maier, Miller, Walchhofer e Svindal. Vanta una quantità innumerevole di podi e di vittorie svanite per centesimi o millesimi di secondo. Diventa finalmente campione del mondo, a 35 anni, dopo un bronzo in gigante (Are 2007) e un argento olimpico, conquistato a Nagano nel 1998, proprio in superG.
Buona la prova di squadra azzurra, a fronte delle debacle degli squadroni austriaco e americano. Due atleti nei primi quattro, quattro nei primi quindici, con Heel, quattordicesimo, un po' deludente, bilanciato da uno Stefan Thanei, 15mo, al di sopra delle aspettative. (Fonte: La Repubblica)
Buona la prova di squadra azzurra, a fronte delle debacle degli squadroni austriaco e americano. Due atleti nei primi quattro, quattro nei primi quindici, con Heel, quattordicesimo, un po' deludente, bilanciato da uno Stefan Thanei, 15mo, al di sopra delle aspettative. (Fonte: La Repubblica)
3.2.09
La Vonn apre con l'oro

2.2.09
Val d'Isère Opening Ceremony: D-Day

_The 40th FIS alpine skiing World Championships Opening Ceremony is taking place Monday, February 2nd, with Gian Franco Kasper, president of International Ski Federation (FIS) and Roselyne Bachelot-Narquin, Health, Youth and Sport Minister. The official parade presenting all 73 participating nations will be followed by a show given by Gilles Rhode, combining modernism and the mountain's custom. Gilles Rhode and Brigitte Burdin run the Transe Express Company. He also ran part of the Albertville Olympic Games in 1992. Following the Ceremony, all officials and general public are invited to share the Val d'Isère 2009 soup and Savoie region specialities at the Giant Buffet, situated in Val d'Isère's main street.
1.2.09
Olimpiadi del 2020: Italia candidata?

Nello stesso incontro, l'Italia ha chiesto lo status di osservatore all'Assemblea generale delle Nazioni Unite per il Comitato Olimpico Internazionale (Cio). Rogge ha espresso "grande apprezzamento per il sostegno dell'Italia", che in novembre ha presentato la richiesta di includere il dossier nell'agenda della 63esima Assemblea generale.
La richiesta è stata corredata da una lettera del ministro. Ora si attende il parere del comitato generale dell'Assemblea generale. Si tratta, come spiegano fonti diplomatiche, di "un'iniziativa soprattutto politica" che va incontro alla convinzione italiana che "lo sport deve avvicinare i popoli".
Durante il colloquio di Frattini con Rogge, si è convenuto di promuovere "una campagna attiva presso i comitati olimpici nazionali" in modo che possano "insistere sui rispettivi governi". Per il "successo" dell'iniziativa, si punta soprattutto sul coinvolgimento dei paesi africani e asiatici, in modo da sottolineare il carattere inclusivo dello sport.
La richiesta è stata corredata da una lettera del ministro. Ora si attende il parere del comitato generale dell'Assemblea generale. Si tratta, come spiegano fonti diplomatiche, di "un'iniziativa soprattutto politica" che va incontro alla convinzione italiana che "lo sport deve avvicinare i popoli".
Durante il colloquio di Frattini con Rogge, si è convenuto di promuovere "una campagna attiva presso i comitati olimpici nazionali" in modo che possano "insistere sui rispettivi governi". Per il "successo" dell'iniziativa, si punta soprattutto sul coinvolgimento dei paesi africani e asiatici, in modo da sottolineare il carattere inclusivo dello sport.
Moelgg, Rocca, l'Italia sbanca!

_Un'impresa storica, quando meno te lo aspetti. Dopo mesi di dominio austriaco e francese, gli azzurri centrano una doppietta in slalom a poche ore dall'inizio dei Mondiali di sci a Val d'Isere. Manfred Moelgg conquista la seconda vittoria in carriera, dopo lo slalom di Kranjska Gora che lo aiutò a mettere le mani sulla coppa di slalom 2008. Ma la vera sorpresa è il secondo posto di Giorgio Rocca, rinato dopo varie traversie, di nuovo sul podio dopo più di due anni dal terzo posto di Levi 2006. "Ha dimostrato che le sue undici vittorie in Coppa del mondo non sono state casuali" ha dichiarato il tecnico azzurro Massimo Carca, tracciatore dell'incredibile seconda manche che ha spianato la strada agli azzurri. Da ventidue anni due italiani non occupavano i primi due gradini del podio di uno slalom: gli ultimi a riuscirci erano stati Alberto Tomba e Richard Pramotton a Kranjska Gora nell'87. La gara s'era messa bene subito, sin dalla prima manche in cui il più veloce era stato l'austriaco Reinfried Herbst, dominatore ad Adelboden e nella gara notturna di Schladming. Ma a otto centesimi s'era piazzato Manfred Moelgg, secondo, e a undici Giorgio Rocca, pronto a sfruttare un nuovo paio di sci provati nell'allenamento di venerdì a Pozza di Fassa, ma da tempo assente ai vertici dello slalom tra infortuni, interventi chirurgici ed una malattia al terzogenito Francesco, fortunatamente guarito. Nella seconda manche l'effetto Italia si presagiva già dalla prestazione di Giuliano Razzoli, risalito dal quattordicesimo all'ottavo posto finale. C'era gloria per Bode Miller, poi superato a pari merito da Grange e Pranger, quando toccava a Rocca il lombardo sfoderava la sicurezza perduta da tempo, per passare al comando ed assistere alla discesa di Moelgg, finalmente a suo agio con i nuovi sci. L'aveva annunciato a Schladming, dopo il quarto posto: "Ho ritrovato la mia sciata". Ora guarda avanti: "Vado ai Mondiali con una vittoria in tasca". Ma a Val d'Isere comincia a fare un pensierino anche Rocca: "Ho avuto problemi ad un ginocchio per due anni, ora il risultato è arrivato ma non mi sento ancora al 100%...".
In precedenza, Nadia Fanchini aveva ottenuto un quarto posto, a soli due centesimi dal podio, nel supergigante femminile. Ennesimo trionfo per la statunitense Lindsey Vonn, che ha così bissato il successo ottenuto venerdì nello slalom, e comanda sempre più in solitudine la Coppa del mondo generale. L'americana ha preceduto le svedesi Anja Paerson e Jessica Lindell Vikarby, giunta davanti alla lombarda, che è saldamente in testa alla coppa di specialità per il supergigante. Discreta la prova delle altre azzurre: tredicesima Daniela Mereghetti, diciassettesima Lucia Recchia, diciottesima Wendy Siorpaes. La Coppa del Mondo lascia ora spazio ai campionati mondiali, quest'anno di scena a Val d'Isère. Si comincia martedì, proprio con il supergigante femminile. (Fonte: La Repubblica)
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